Da Bisegna al monte Argatone

Una lunga valle, una fonte, boschi e radure, poi una lunga cresta, panorami a 360°, una linea di salita costantemente morbida, un lungo anello per una gustosa "passegiata".

Sulla dorsale che divide la val Giovenco dalla valle del Saggittario.


Nel programmare le escursioni cerco sempre un appiglio in più che le giustifichi e gli schemi che adotto per renderle appetibili sono mutevoli e suscettibili alle più svariate motivazioni, stavolta volevo far conoscere a Marina una bella “crestona” e delle montagne sulla quale non era mai stata; avevo anche un interesse tutto mio a dire il vero, volevo andare a ficcare il naso in val Giovenco, conoscere questo angolo nascosto d’Abruzzo e del parco e finalmente farmi un’idea di Bisegna e di Ortona dei Marsi. Mi va di raccontare un aneddoto che sta dietro questa programmazione: nel titolo di una delle carte delle Edizioni Lupo, quella a cui poi oggi mi sono riferito, “Monti Marsicani, Mainarde, Valle del Giovenco e monti della Meta”, 1:25000, oltre al Marsicano ed altre mete conosciute spicca la Val Giovenco; per anni mi son chiesto dove cavolo fosse questa valle, ho sempre pensato che prima o poi ci avrei per caso sbattuto il naso, o perché portato da qualcuno o perché sarebbe semplicemente successo ma così non è mai stato. La mia pigrizia in certe cose poi stupisce me stesso, non ho mai trovato il modo di mettermi sul web ed impostare una ricerca, mai ho aperto quella carta con l’intenzione di trovare quella valle e in buona sostanza, per tanti anni la val Giovenco è stata per me solo un nome. Torniamo al punto di partenza, Marina non era mai salita sull’Argatone e sulla Terratta, li avevo raccontati quando salendo al Genzana e al Rognone ce li avevamo di fronte, ma erano rimasti sempre e solo progetti; nel pensare a questa escursione volevo evitare la solita partenza da Scanno o da Villalago, Bisegna era sul versante opposto, non c’ero mai stato ed era la volta buona per andar a conoscere un pezzo nuovo di Abruzzo. Mi butto sul web per raccogliere informazioni e che cosa scopro? Bisegna è l’ultimo paese della val Giovenco! Mai dai !!!!???? Ha vinto il caso. E’ nata così oggi, avevo tanti validi motivi per organizzare questa escursione. Due ore e mezza per arrivare a Bisegna, dopo Pescina, Ortona dei Marsi e San Sebastiano, come già detto, è l’ultimo paese della val Giovenco, oggi più che mai ultimo dal momento che la provinciale 17, che percorre la valle fino a Pescasseroli, è bloccata più avanti e la rende praticamente senza sbocco. Bisegna oggi è un paese praticamente disabitato, il movimento in paese è minimo e le case sono quasi tutte chiuse testimoniandone un utilizzo prevalentemente estivo, la popolazione dei residenti si attesta intorno alle duecento anime. Sorge su uno sperone poco sotto quota 1000 mt da cui sgorga il fiume che dà il nome alla valle e solo dal ’99 fa parte integrale del parco. Nel periodo medievale rivestiva una importanza strategica per l'osservazione ed il controllo della valle che ha da sempre rappresentato una delle più importanti vie di comunicazione tra il Fucino e la Marsica occidentale, se la confrontiamo con la situazione di isolamento di oggi viene da piangere. Raggiunto il paese stentiamo a trovare l’imbocco del sentiero che doveva coincidere con l’ingresso “W” del parco, attraversiamo il paese e dopo poche centinaia di metri, dopo le ultime case, sulla sinistra una tettoia in legno indica l’ingresso “V” che sulla carta non è nemmeno riportato. Intuiamo che si tratta di un altro sentiero che potremmo utilizzare ma ostinati ci rimettiamo alla ricerca dell’ingresso “W”; qualche su e giù per il paese, e per puro caso intravedo su un angolo di una strada secondaria, sulla sinistra, una segnaletica in legno con tanto di bandierina bianco-rossa, c’è riportata l’indicazione del sentiero ciclo-turistico “MTB1” per Fonte dell’Appia, sul lato opposto, all’altro angolo della stessa strada un’altra indicazione riporta la segnaletica “A1”, da queste parti non si scontenta nessuno. Peccato che entrambe le indicazioni non sono riportate sulla carta, vuoi vedere che si tratta di una modifica in corsa dell’ente parco o di chi per lui e che entrambe coincidono col vecchio ingresso “W” e quindi col sentiero “W1” che invece è riportato sulla carta? Chiaro che è così!!! Imbocchiamo la strada in sampietrini (a chi interessa pochi metri prima dell’ufficio postale, sulla sinistra, venendo da San Sebastiano) fin sotto il bosco duecento metri più in alto, non troviamo parcheggio e ritorniamo sulla strada principale. Ripartiamo a piedi, raggiunto il costone roccioso in cima dove terminano le case e inizia il bosco la strada vira sulla sinistra, ben presto diventa brecciosa e sale rettilinea molto lentamente, intorno bassa boscaglia e orizzonti limitati; dopo un chilometro circa una curva a gomito, si torna a dirigersi verso Sud Est, direzione Fonte Appia, che raggiungiamo dopo circa trentacinque di minuti dalla partenza e dopo aver incrociato sulla sinistra il sentiero “V8” che arriva da San Sebastiano. La fonte sorge a 1350 mt di altezza su una piccola valle interna, una ampia e ondulata radura che sulle carte prende il nome di Vicenna Grande, un filo d’acqua, un grande abbeveratoio e qualche tavolo per chi ha voglia di passarci qualche ora. La fonte dà il nome alla valle che inizia subito dopo, appunto valle di Fonte d’Appia, la percorreremo interamente; poco oltre la fonte su un grosso e isolato faggio una bandierina bianco-rossa ne sancisce l’inizio, si passa a sinistra del faggio e lentamente la traccia si discosta dal sentiero “W2” che continua invece diritto. Sempre a sinistra del faggio e in salita, una netta traccia si stacca dal sentiero principale, sulle carte è una linea tratteggiata, ho saputo da escursionisti del posto che seguendola si accorcia un po’ il percorso, si salta tutta la valle d’Appia e si sbuca sopra il vallone di Fossa, nelle foto che accompagnano questa relazione l’ho voluta marcare col colore arancione. Dall’imbocco della valle d’Appia ci si infila nel bosco e non se ne esce più fin tanto che non deviamo per il vallone di Fossa, la traccia dentro il bosco si rifà ben presto larga, ad uso probabilmente dei boscaioli, poi diventa sconnessa, un mare di pietre mosse o meglio dilavate dall’acqua piovana ma sono solo un fastidio si continua a camminare bene. Dalla fonte a quota 1350 mt circa e per circa tre chilometri si continua in questo ambiente, si devia a sinistra ad un bivio molto evidente, verso il vallone di Fossa a quota 1650 circa, 1 ora e 10 minuti da Fonte d’Appia. Il sentiero devia sulla sinistra e diventa il “W3”, all’incrocio, su una grossa pietra, ci sono le indicazioni relative ai sentieri ma è più facile accorgersi delle strade che divergono che della pietra; per qualche centinaio di metri si è avvolti ancora dal bosco, ora un po’ più rado, poi si continua in una larga radura con vista Argatone. Qualche centinaio di metri tra alta prateria, si tende verso Sud, in questo tratto non ci sono segnali e la traccia tra l’erba è incerta, si cammina a vista e ci si basa molto sull’esperienza e sulla logica. Continuando per il senso della valle si rientra nel bosco, ancora incertezza sulla direzione ma basta tenere grosso modo il centro della valle fin tanto che su degli alberi si ritrovano delle bandierine e si riformano delle chiare vie tra la vegetazione. Lentamente ci si alza dalla valle e si inizia a salire, in direzione opposta della dorsale dell’Argatone, il bosco si fa fitto e il sentiero rimane sempre molto evidente, un trenta minuti di salita facile e si esce su una spianata, 1 ora e 50 minuti da Fonte d’Appia, uno slargo tra il bosco sotto il picco che si trova esattamente a metà strada tra il Terratta, ora verso Sud Est e l’Argatone verso Nord. Ometti a terra e bandierine sugli alberi tracciano il sentiero sulla sinistra, sul bordo del bosco, di fatto si può proseguire liberamente con direzione dorsale del Terratta. Arrivati alle falde della costa che inizia a salire ripida, il sentiero è evidenziato con delle paline alte circa un metro, devia verso Nord, traversa in direzione Argatone; decidiamo di soprassedere con il Terratta, non è lontanissimo ma tra andare e tornare abbiamo stimato un’ora e mezza in più, si era già fatto tardi e non volevamo rischiare di accumulare ancora più ritardo rispetto al ruolino di marcia che ci eravamo prefissati. Continuiamo così verso l’Argatone che è ormai a vista di fronte a noi in direzione Nord. Il sentiero traversa il versante sopra il bosco, si alza lentamente e raggiunge la sella sottostante l’Argatone stesso; sulla dorsale il panorama si allarga verso Est, Genzana, Rognone e dietro la Majella delimitano chiaramente l’orizzonte, verso Sud le montagne del parco ci sono interdette dalla mole della Terratta, ad Ovest riusciamo a distinguere il Viglio insieme agli Ernici ed un susseguirsi di vette più basse dal Marcolano al Serrone al Cornacchia che si confondono e si sovrappongono tra loro come le onde del mare; verso Sud Est quelli che vediamo sappiamo essere i profili delle Mainarde e prima ancora quelli delle Montagne della Meta e del Petroso ma distinguerle è quasi impossibile. Saliamo in vetta all’Argatone dove davvero lo sguardo non ha confini, ora si spinge fino al Gran Sasso, fino al Velino. Per evitare di fermarci sotto le sferzate di un vento teso e fresco ci abbassiamo verso Ovest, ci concediamo una sosta di venti minuti. Che dire, esisteva semplicemente e solamente il “rumore” del vento, beata e assoluta solitudine, nel salire su queste montagne si gode del privilegio di essere e sentirsi davvero soli, nel mezzo di una natura che da qui sembra davvero intatta. Studiamo il ritorno sulla carta e lo proiettiamo sull’orografia che avevamo di fronte; la piana di Fonte d’Appia era di chiara lettura già da quassù, la discesa facilmente intuibile, non era visibile la totalità della cresta che dovevamo percorrere ma non sarebbe stato il problema maggiore tanto era larga e senza deviazioni, insomma l’intenzione era quella di tornare indietro per cresta e chiudere l’anello a Fonte d’Appia scendendo per uno dei due fossi sotto il basso picco di Rosa Pinnola. Mi prendo il tempo per un po’ di foto, la giornata è stupenda non posso perdere quest’occasione, per fissarmi i grandi orizzonti con le posizioni dei vari gruppi montuosi e per creare nella mia testa una sorta di carta geografica in 3D, un gioco che amo tantissimo; mi soffermo sull’antico fronte franoso alle pendici del Genzana, da qui è di facilissima lettura, quello che ha creato in antichità lo sbarramento che ha poi dato origine al lago di Scanno; molto suggestiva è anche l’idea che suggerisce quel pianoro ondulato che scende verso Est e che va a generare la sponda Ovest della lunga e splendida valle del Sagittario, sarebbe avventuroso seguire le flebili tracce, che almeno sulla carta esistono, per andare a cercare un possibile sbocco in quella forra. Noi, più banalmente, sorvolando sui sogni avventurosi, riprendiamo a scendere per la cresta in direzione Nord, ci aspettano poco più di 2 chilometri quasi totalmente in discesa di panoramicissima e larga cresta; scendiamo i 2149 mt dell’Argatone, si tocca quasi subito una sella a 2060 mt e si risale un picco a 2103 mt, da lì in poi è solo discesa, anche accentuata fino ai 1809 mt del Rosa Pinnola, 1 ora dall’Argatone. Non tocchiamo la sua cima dove già vediamo sporgere una piccola croce, ci scivoliamo accanto poco sotto, su una traccia di sentiero molto evidente. Sulla carta si tratta di un sentiero tratteggiato, taglia il versante e dopo un tortuoso giro prende a scendere dentro il boscoso vallone di Costantino; siamo esattamente su questa traccia ma qualcosa non ci torna, si sta allungando troppo oltre il Rosa Pinnola, scegliamo di tagliare i pratoni in verticale, verso valle, e finiamo per intercettare un altro sentiero, successivamente anche una bandierina su una roccia; cercando di capire quale direzione prendesse questa nuova traccia crediamo di intuire che si infili dentro il fosso di Malpasso, lo attraversi e si ricongiunga alla flebile traccia che si intuisce nelle radure sul lato opposto dopo il bosco, un giro enorme rispetto alla dorsale che abbiamo di fronte e che ci sembra scendere con gradualità. Insomma, tra un dedalo di sentieri e tracce, in cui tutto sembra portare dappertutto facciamo di testa nostra, senza sentiero e a vista sulle linee più logiche scendiamo sulla dorsale che divide il vallone di Costantino dal fosso di Malpasso, così non abbiamo fatto torto a nessuno, meno agile ma veloce, guadagniamo facilmente la valle fino a confluire nell’ultimo tratto del vallone di Costantino, entriamo nel bosco, raggiungiamo il fondo del fosso, morbido di foglie precocemente cadute e seguendolo raggiungiamo la carrareccia nei pressi di Fonte d’Appia. Un gioco da ragazzi, più o meno. Da un pezzo, dalla dorsale nei pressi dell’Argatone, vagheggiavo di chiudere l’anello scendendo attraverso quella forra molto evidente dall’alto, quella forra che “sega” la Spina di Cerreto, la piccola dorsale che sovrasta Bisegna, e che avevo già notato la mattina. Consultando la carta mentre ero in sosta sull’Argatone altro non doveva essere che il vallone dove passava il sentiero il cui inizio avevamo visto la mattina, attraversandolo ci avrebbe portato alle porte di Bisegna accorciando di qualche chilometro l’escursione. Arriviamo nei pressi di Fonte d’Appia e ci limitiamo ad attraversare la carrareccia che avevamo percorso la mattina, di fatto alla fine della giornata avremo compiuto una sorta di “otto” e non avremo messo un solo passo sulla traccia di andata. La forra è stretta ma meno di quanto si faceva intuire, ripida ma ben governata nel tratto in alto da muri di contenimento delle acque per cui il sentiero ci scivola dentro sempre molto agevole. In un piccolo tratto una frana obbliga ad un passaggio non difficile in bilico su un muretto, uno successivo ad un bel aggiramento dello spigolo roccioso con un affaccio sulla parte alta della val Giovenco davvero notevole; da qui il vallone è ampio, parzialmente coltivato, quasi ricorda un paesaggio inglese tra radure, coltivazioni e fitti boschi. Dopo lo spigolo, con dei tratti che sono quasi delle ampie falesie il sentiero scorre e traversa in costante discesa per altri due chilometri circa, fino ad affacciarsi sopra i tetti del centro abitato di Bisegna, una cartolina questo affaccio. Si chiude ovviamente dove avevamo supposto, sconosciuto ingresso “V” del parco, 3 ore e 10 minuti dalla vetta dell’Argatone; per risparmiare qualche chilometro e per la bellezza del tracciato consiglio vivamente di usare questo accesso alla partenza dell’escursione. Un ”otto” il tracciato di oggi, mai una volta un passo si è sovrapposto ad uno della mattina, circa 17 i chilometri percorsi in 6 ore e mezzo e un dislivello di poco superiore ai 1000 metri, boschi radi prima e poi fitti, radure, una fonte, una lunga cresta aerea e panorami a 360°, nessuna nota adrenalinica ma una lunga escursione davvero senza sofferenze e al cospetto di una natura isolata e solitaria. Da evidenziare la linea di salita, quella che abbiamo fatto e non quella che ho suggerito per risparmiare chilometri, sempre graduale, senza strappi; nonostante la lunghezza, che può spaventare, questo “andamento lento” la fa diventare solo una lunga, ariosa, piacevole passeggiata.